Questo posto è una città infestata dai ratti. Arrivo nel piazzale di un supermercato, due manovali stanno scaricando casse di verdura da un furgone, d’improvviso i ratti escono dalle crepe dell’asfalto sciamando e squittendo e li investono. Tentenno, indeciso sul da farsi, dando gli uomini per spacciati, ma prima che mi muova qualcosa mi ferma: i manovali non hanno nessuna reazione, e continuano a fare il loro lavoro mentre vengono lentamente coperti dalla marea scura. La scena si fa molto confusa, gli animali si arrampicano e corrono gli uni sugli altri, coprono del tutto le figure e anche il furgone. Mi avvicino con cautela: i rumori animali, acutissimi, si sovrappongono ad altri suoni più metallici, ed altri ancora che non riesco a identificare, e già mi immagino il furgone crollare a pezzi, dilaniato dalle straordinarie creature. Ma poi, come è arrivata, la marea di ratti se ne va, lasciando dietro sé qualcosa di stupefacente.
Devo subito chiarire che gli uomini ne sono usciti intonsi. Da osservazioni successive posso confermare il sospetto che mi aveva colto subito, ovvero che non avessero nessuna consapevolezza della presenza dei roditori. Per loro non c’è stata nessun attacco di ratti, gli animali devono essere completamente schermati ai sensi dei locali. Le verdure, che di primo acchito pensavo fossero il bersaglio principale dell’attacco, dopo il passaggio della fiumana si sono rivelate intonse. L’obiettivo, ho scoperto, era il furgone stesso.
Dato che l’attacco è avvenuto immediatamente dopo il mio arrivo non ho avuto modo di osservarlo con attenzione, e comunque sono certo che non mi avrebbe colpito: era un furgone standard, bianco, a cabina chiusa, in linea con il livello tecnologico del posto. Dopo il passaggio, il mezzo era diverso: diverso profilo, diversa gommatura, diverso taglio del gruppo ottico. Sempre un furgone bianco, ma diverso. Non avendo familiarità con il posto ci ho messo parecchio a capire la natura dell’evento, che mi è apparsa chiara solo allargando lo sguardo alle altre automobili attorno: il furgone era stato trasformato in un modello più vecchio. L’attacco dei ratti ha sostanzialmente fatto fare passi indietro al mezzo, sia in termini di tecnologia che di estetica.
Durante la mia permanenza in questo posto ho assistito ad eventi simili. Il copione è fisso: il branco sciama dal pavimento, attacca, rosicchia, e si lascia dietro una versione lievemente più arretrata di quel che aveva trovato. Niente è mai stato distrutto, i bersagli vengono solamente depauperati dell’avanzamento tecnologico, e comunque in maniera sottile. A volte i bersagli sono grossi, ma la maggior parte delle volte no: ho visto telefoni cellulari cambiare di dimensioni, riproduttori di musica passare dal digitale all’analogico, porte automatiche perdere il sensore di prossimità ed acquisire una maniglia. In alcune occasioni i bersagli erano più grandi: mezzi di trasporto, giostre, illuminazione pubblica. I nativi non hanno contezza dell’evento, e continuano le loro esistenze nonostante la tecnologia venga letteralmente rosicchiata via dalle loro vite. Ho parlato di nativi perché ho ragione di credere che i ratti non siano originari di qui: non è un’ecologia sostenibile, e dando loro abbastanza tempo l’intero posto sarebbe trasformato in un deserto precivilizzato. Non mi è stato possibile capire se i ratti agissero con uno schema, o rispondessero ad un’intelligenza superiore, ma tutti gli indizi puntano verso l’ipotesi opposta. Sono solo ratti. Il posto, invece, sembra essere condannato ad una lenta involuzione tecnologica.
AZIONE CONSIGLIATA: annessione post derattizzazione.
NOTA: Data la caratteristica peculiare di queste creature, ho deciso di catturarne uno, che ho riportato sul mio mezzo dopo essermi accertato che non gli risultasse appetibile: forse la tecnologia per il viaggio interpostale è troppo avanzata per il suo palato. Ora siede in magazzino, in una gabbietta.