Notte chiara, chiarissima

Raffaele Titosperi è l’ultimo lampionaio della città. Al tramonto fa il suo giro, scaletta in spalla, accende le strade un lampione alla volta, con la pioggia di novembre, con l’afa di agosto. Poi, adesso, all’alba, a rovescio: i lampioni hanno lavorato bene, li mette a dormire. E inizia il lavoro vero, quello faticoso: pulire i vetri, riparare i becchi, sostituire le reticelle.

“Ohi, Titosperi!”

“Cavaliere! Mi avete spaventato!”

“Perdonatemi, Titosperi, sono un poco di fretta. Trovato niente di buono?”

Titosperi, sulla scaletta, fruga nel lampione appena spento. Con una spazzola raccoglie una manciata di insetti, piccoli, rigidi, mezzi bruciacchiati. Li porge con attenzione all’altro.

“Mah, ditemi voi. A me pare poca roba.”

L’altro accoglie il raccolto notturno nella coppa delle mani guantate. Nella poca luce dell’alba studia i carapaci come gemme.

“Sì, poca roba, avete ragione. Sto disperando ormai. Il mese scorso il De Sanctis ha trovato una rara cicindela azzurra e da allora non la smette di darmi il tormento.”

“Ma il De Sanctis è forse quel signore allampanato, con due baffi a manubrio ormai grigi, con un leggevo difetto di pvonuncia?”

“Lui! Lui! Cavalieve cavissimo, voglio mostvavvi le mie ultime scopevte.

Cveatuve intevessantissime!

Fovmidabili!

I due ridono, Titosperi scende la scaletta, il cavaliere lo aiuta con gentilezza.

“Mi dicono che l’illuminazione elettrica sta facendo passi da gigante. Caro Titosperi, come farò senza di voi? Chi mi fornirà le mie amate bestiole?”

“Suvvia cavaliere, un uomo delle vostre facoltà non avrà certo di questi problemi.”

“Proprio perché posso molto ho la dolorosa coscienza di ciò che mi è precluso. Voi siete un uomo buono, integro.”

“Ora esagerate. Sono solo un onesto lampionaio.”

Il cavaliere lo squadra di sottecchi.

“Cosa cercate? Mi trapanate con gli occhi.”

“Ma no, ma no, scusate. Cercavo in voi una traccia di mestizia, e non ne trovo.”

“E perché mai dovreste?”

“Il vostro lavoro sta sparendo, voi siete l’ultimo ormai. E poi, voi vivete la notte. Sono certo che in questi anni la città vi abbia mostrato il suo volto meno pulito.”

Titosperi raccoglie le sue cose, infila la scala in spalla, respira l’aria fredda dell’alba, si sorride addosso.

“Sì, certo. La conosco bene, la città. Al tramonto si incontrano i peccatori. All’alba, i matti – con rispetto parlando. Ho visto un prete accompagnarsi alle donne di strada, quando pensava che nessuno lo spiasse. Ho visto un amante abbandonato guardare dal ponte, giù, l’acqua, lui sì con mestizia nel cuore. Ho incontrato i disperati, i derelitti, gli accattoni, sempre sul chi vive, sempre pronti a scappare. Il volto meno pulito della città, dite. A me pare meglio dire il culo, con rispetto parlando. Ho visto il culo della città, che lei si tiene stretta i mutandoni, e si vergogna, ma ogni tanto le scappano. L’ho fatto per tanti anni, ormai siamo in confidenza.”

“E non vi preoccupate?”

“E a che serve? Vedete queste?”

Mostra al cavaliere un sacco pieno di reticelle, candide.

“È un brevetto austriaco, tale von Welsbach si è inventato questo modo ingegnoso, una reticella sulla fiamma che dà molta più luce e usa un gas diverso, più pulito, più facile da ottenere, consuma meno carbone. È progresso, no?”

“Certo. Innovazione.”

“Non si può fermare.”

“E adesso l’elettricità. Niente più lampioni a gas. Che farete, quindi?”

“Mah, qualcosa mi inventerò. Non temete.”

Il cavaliere tentenna un momento. Pare incerto se aggiungere qualcosa. Poi:

“E comunque anche questi nuovi lampioni elettrici, hanno ancora un sacco di problemi. Dicono che i contatti, i filamenti, si consumino molto in fretta. E che siano fragili. Ne hanno trovati di molti spezzati in due, quasi tagliati. Ma è la corrente che lo fa. È la corrente.”

“Già, la corrente.”

“E non è certo qualcuno a manometterli.”

I due uomini si guardano negli occhi per un momento, poi Titosperi abbassa lo sguardo. Non sorride più. Il cameratismo è passato, l’uguaglianza è passata. Ciascuno è tornato nella sua classe sociale: lui, in basso, il cavaliere, in alto.

“Se ne sono accorti, Titosperi. Prestate più attenzione. O, meglio ancora, smettete. L’avete detto anche voi: non si può fermare il progresso.”

Titosperi fa un cenno col capo. Il cavaliere si allontana, si ferma sotto un altro lampione, guarda di sfuggita gli insetti morti a terra, prosegue.

Il lampionaio, rimasto solo, riprende il cammino, più lento di prima, più affaticato di prima. Gli tornano in mente le parole che aveva detto il parroco, un secolo fa, ad un funerale. “Et nox, sicut dies, illuminabitur.” La notte sarà chiara come il giorno. Vedremo. Qualcosa si inventerà.

(Racconto pubblicato anche su Typee)
(E finito addirittura nel TypeeBook2018, di cui parlano qui e che potete scaricare qui)

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