Nella mia officina ripariamo i camion. I camion sono pesanti e non si può fare come con le macchine, che le sollevi e poi ci vai sotto a smanettare. Il camion – la motrice, si chiama così – quando va bene lo ripari da sopra. La carrozzeria si ribalta come un signore che saluta col cappello. Così tocchi quasi tutto e ripari quel che serve. Ma per certe cose bisogna andare sotto, e il camion non si può sollevare. Per quello c’è la buca.
La buca è un buco nel pavimento fatto apposta per scenderci dentro. È profondo, che ci devi poter stare in piedi comodo e non picchiare la testa, ma è anche stretto. Ci guidi il camion sopra – le ruote di qua e di là, la buca in mezzo. Poi scendi nella buca e stai sotto il camion e lavori.
La buca è sempre fresca, che mi piace, ma è anche molto grassa e molto sporca, che è un peccato. Fa un po’ schifo a dire la verità, sui muri ci sono tanti graffi e tante manate. È anche buia, che bisogna portarsi la torcia, ma ne abbiamo poche in officina e a volte lavoro in ombra e mi faccio bastare la luce che arriva. I camion sono molto belli, sotto, e mi piace saperci mettere le mani. Però tante volte devo toccare l’olio esausto, per forza, e quello non mi piace. L’olio, all’inizio, quando lo metti è bello trasparente e dorato. Ha anche un buon odore. Quando lo devi cambiare è diventato nero e cattivo. Puzza.
La buca è difficile da pulire. Per salvare un po’ noi poveri meccanici chi ha fatto la buca ci ha messo sul fondo una griglia, e tu ci cammini sopra. Quando colano le cose – a volte è acqua, o liquido dei freni, ma quasi sempre grasso – quando colano le cose poi passano la griglia e finiscono sotto. Sotto c’è come una vasca, ma non come quando fai il bagno. Questa fa schifo. Diventa grigia, di un grigio molto scuro, che non si vede il fondo. Fa sempre un po’ gli arcobaleni, in cima, ma è ferma, proprio immobile, per colpa di tutto l’olio e il grasso, che sono viscidi. Quando si fa una bolla sulla superficie, mica scoppia, ma sta lì per ore e ore, e poi scoppia quando c’ha voglia lei. Nel tempo la buca si riempie e il grasso arriva sempre più vicino alla griglia e ai miei piedi. Io ce lo dico sempre al capo Giovanni di non aspettare che si riempie così tanto, fino al bordo della griglia, che con la suola delle scarpe un po’ la tocco, ma lui non mi sta a sentire e dice che ho paura di sporcarmi i piedi. Non è vero, non è per lo sporco, anche se poi un po’ di paura ce l’ho.
Per svuotare lo schifo c’è un buco nella griglia. Giovanni ci infila il bocchettone dell’aspiratore e lo schifo viene tirato su. Giovanni lo fa sempre tardi tardi quando non c’è nessuno in officina, che io e Marcello siamo già andati a casa. Marcello è l’altro meccanico, che è un po’ come fosse un mio compagno, e stiamo pari. Però facciamo delle cose diverse, che Giovanni mi ha detto che certi compiti sono di grande responsabilità e li fa fare solo a me, che si fida. Però la sfortuna mi perseguita, e le cose che devo fare io mi fanno stare sempre nella buca. Marcello non ci finisce mai, e all’inizio mi ero anche un po’ arrabbiato, ma poi Giovanni mi ha spiegato che io sono più bravo di Marcello, e però che non glielo devo dire, che lui si fida solo di me per le cose super importanti. Comunque, dicevo dell’aspiratore dello schifo. In un’altra officina dove lavoravo riempivano dei barili gialli che poi veniva una ditta apposta a portarli via. Qua di barili gialli non ne ho visti e non so come fa Giovanni a far sparire lo schifo. Ho pensato che forse lo butta giù dal cesso, ma poi secondo me no perché il cesso saprebbe l’odore dello schifo, e anche se il cesso fa comunque un po’ schifo è uno schifo diverso. E poi forse è illegale, credo. Non ci ho mai chiesto perché sono cose più grandi di me e non voglio far arrabbiare Giovanni.
Il buco nella griglia per il bocchettone sta in un angolo, per non dare fastidio, ma io ho comunque paura di finirci dentro con un piede. Può succedere, a me è successo due volte. La prima volta è capitata quasi subito quando ho iniziato a lavorare qui, un anno fa. Stavo sotto una motrice Mercedes SK che aveva almeno vent’anni – ma tanto i camion a vent’anni non sono vecchi, sono adulti – e c’era questa chiusura che non voleva proprio venire. Tiravo e tiravo e non si smollava. Ci avevo già dato lo svitol e l’antiruggine e delle martellate tutto di lato e stavo lì a tirare forte quando di colpo cede. Cede e io vado indietro, sai come succede, che barcolli come un ubriaco con i piedi larghi. Mi succede proprio così e faccio due passi e batto contro il muro con la schiena, e poi un piede mi va nel buco per l’aspiratore e poi giù nello schifo, come un sasso. Intanto, mi sono tagliato. I bordi della griglia sono di ferro e mica tondi. Mi ha fatto la caviglia, l’osso che spunta – che non so come si chiama – però me l’ha fatto tutto, me lo sono strisciato su fino a metà stinco, fin quasi al ginocchio. Ho visto le stelle, faceva super male. E però la prima cosa che ho pensato, me lo ricordo, è stata: “cacchio, com’è profondo”. Pensavo fosse molto meno alto, il serbatoio lì sotto. Nel buco per il bocchettone ci entra il piede di punta, ho avuto sfiga e però stavo con mezza gamba nello schifo, a sanguinare, e con la punta del piede quasi non toccavo. Cioè, toccavo qualcosa che però un po’ si spostava piano piano, come fanno le cose sott’acqua, e con la punta del piede che era proprio in fondo sentivo freddo, che si sà che è un po’ come il fondo del mare, freddo. Ero anche bello spaventato, e anche se stavo quasi tutto sopra la griglia mi sono sentito come un po’ invaso. È difficile da dire. Ho pensato che se finivo dentro tutto annegavo nello schifo. Stavo a quattro zampe con le mani sulla griglia e guardavo giù. L’olio ha fatto un’onda e si è fermato. Mi sono visto riflesso ed ero sporco, bianco, con due occhi fuori dalla testa. Ho tirato su il piede veloce – mi son tagliato di nuovo ma non importava, che dovevo togliermi da lì – e son venuto via di corsa.
Quella volta Giovanni mi ha aiutato un sacco. Mi ha lavato bene dal grasso e mi ha anche dato una tuta da lavoro nuova, senza farmela pagare. Io mi sono spaventato, che sanguinavo tanto – il sangue si mescolava al grasso e mi girava la testa – ma Giovanni mi ha tranquillizzato e mi ha detto che non c’era bisogno di andare in ospedale. È andato lui in farmacia a comprare delle garze e mi ha preso anche un paio di scarpe nuove. Mentre era via Marcello è venuto da me e ha fatto due occhi giganti e mi ha detto che dovevo andare in ospedale ma io ci ho spiegato che era OK, che Giovanni mi aveva detto che era OK. Marcello mi stava dicendo delle cose, anche delle cose brutte su Giovanni, e quasi quasi mi convinceva di andare da un dottore ma poi è tornato Giovanni e Marcello se l’è squagliata. Credo che sia perché a Marcello spiace che Giovanni preferisce me, che diceva quelle cose. Spiace anche a me, perché Marcello è molto bravo e si ricorda tutti i nomi di tutti i pezzi meccanici, che io non li so, però Giovanni mi ha detto che non devo preoccuparmi se non so tutti i nomi, perché io ho il tocco. Io non lo so cos’è il tocco, ma Giovanni mi ha detto che è OK non saperlo, che il tocco non è una cosa di qui – e mi ha toccato la fronte – ma di qui – e mi ha toccato la pancia. Io continuo a non sapere cos’è, però si vede che ci tiene a me. Quel pomeriggio è tornato dalla farmacia con le medicine e le scarpe nuove e ha chiuso l’officina, che è stato un bel gesto, e poi mi ha detto di stare a casa per un giorno, per riposarmi, che è stato un altro bel gesto. Mi ha anche detto di non dire a nessuno che mi ero fatto male, che poi la gente si preoccupa per niente. Io non so chi si doveva preoccupare, perché Marcello mi aveva già visto e non conosco molte altre persone, ma mi spiaceva disubbidire, che Giovanni sembrava davvero in pensiero.
Quando sono tornato, un paio di giorni dopo, Giovanni era pallido e sudato. Quando mi ha visto ha fatto un salto come se avesse visto un fantasma, anche se poi il fantasma lo sembrava lui. Mi ha chiesto se non avevo detto a nessuno del mio taglio e mi ha detto di nuovo di non dirlo a nessuno. Mi ha chiesto anche come stavo guarendo, che si vede che si preoccupava. Io ci ho detto che stavo guarendo bene, avevo smesso di sanguinare subito, però era un po’ strano perchè la pelle lì attorno, e nella cicatrice che si stava facendo, era un po’ grigia. Ci ho detto scherzando che mi doveva essere entrato in circolo qualcosa, ma lui mi ha guardato con degli occhi gibbosi e mi ha detto forte, un po’ gridando, che non dovevo dire certe sciocchezze, che certe cose è peccato anche solo pensarci. Io non sono tanto per queste cose della religione, ma mi sembrava ci tenesse tanto e ho cercato di fare come diceva lui, di non pensarci.
La seconda volta che sono caduto è stato diverso. Credo che nell’olio motore ci sia qualcosa di magnetico, una polverina, come una limatura di ferro. Succede che anche se sono guarito bene con la gamba, ogni tanto mi prude. Però me lo fa solo quando sono nella buca, e non tutte le volte. Deve essere una cosa di magneti, del polo nord e del polo sud della terra. Che non mi dispiacerebbe sentire i magneti, è un po’ una cosa da supereroe. Però succede solo nella buca. A casa ho provato con una calamita che ho sul frigo, a forma di lumaca (la calamita, non il frigo). Me l’ha regalata mia mamma. Ho tirato sul tavolo la gamba dell’incidente e ci ho passato sopra la lumaca, avanti indietro, ma niente. Già che c’ero ho guardato bene bene la ferita, che è guarita proprio a posto. Non sanguina e non mi fa mai male. Però mi sono rimaste queste cicatrici grigie, del colore dei piccioni, e da lì partono tutti dei rametti, come delle vene, sempre grigie. Anche la pelle in mezzo ai rametti ha preso un po’ quel colore lì, ma meno. Però se tocco non mi fa male, anzi è una signora gamba, scattante e danzerina, anche più dell’altra. A volte me la vedo che tiene il tempo di una canzone, che prima non mi succedeva mai. Forse sto diventando un musicista! Però niente magneti: mi sa che la lumaca non è la calamita giusta.
Ti dicevo che quando sono nella buca a volte, ma solo a volte, la ferita prude, e una volta mi ha fatto cadere. È successo quando la griglia era davvero piena fino all’orlo, lo schifo arrivava che mi sfiorava il sotto delle scarpe, a camminarci sopra. Quando succede così non mi piace, perché tutto diventa scivoloso e lì sì che rischi di cadere. Dunque, sono lì che faccio i fatti miei sotto un Iveco Stralis – una bella bestia veloce, una roba nuova uscita da poco – e la gamba comincia a prudere. Prude che ti riprude, che faccio? Gratto. Gratto, ma non serve, non smette, allora batto il piede a terra, un po’ di volte, che ogni tanto aiuta. Ricordo che facevo delle onde nel grasso, perché ce n’era così tanto che toccava il sotto della griglia e io ci battevo sopra e tutto si muoveva, una roba anche bella da vedere. Succede che viene su una bolla da sotto, dallo schifo profondo, una roba obesa grande come un melone che scoppia e fa plop. Ogni tanto, ma tanto tanto, succede. Ne avrò viste tre o quattro in totale, in un anno. Deve essere che a furia di battere ho smosso qualcosa, sotto. E quindi sono lì che gratto un casino, batto il piede, ululo e giro in tondo come un cane, sale la bolla e poi cado. Forse mi è scivolato il piede buono, non so. Forse ci ho picchiato la testa contro il sotto del camion, che non mi ricordo bene com’è andata e si vede nei film che quando prendi una botta in testa poi perdi la memoria. Però forse non è andata così perché la mia zucca è molto dura e poi non ci avevo mica un bernoccolo, dopo.
Mi ha svegliato Giovanni, che mi chiamava da sopra e mi dava delle bastonate col manico della scopa. Giovanni non scende più nella buca quando ci sono io dentro. Però a furia di chiamate e scopettate mi ha svegliato, che si stava preoccupando per me e mi vuole bene come a un figlio. La prima cosa che ricordo è stata il sapore. Stavo steso e avevo la faccia contro la griglia, con proprio il ferro contro la guancia, che schiacciava. C’era grasso dappertutto, che stava a filo filo e deve aver fatto una bella onda quando sono caduto, perché ero tutto sporco. Un po’ mi doveva essere finito in bocca, perché quando dormo tengo la bocca aperta. Un sapore terribile, immaginati frullato di scarafaggi e latte marcio. E poi mi prudeva tutto, mi prudeva dentro. Sai il dietro del tuo naso, che senti l’aria che ci scorre quando respiri. Ecco, mi prudeva lì, mi prudeva la lingua e mi prudeva la gola. Mi sono tirato su che stavo ancora un po’ dormendo, e Giovanni continuava a darmi le scopettate e a gridare ma ci ho messo un po’ per svegliarmi bene. Ero tutto sporco. L’unto sulle mani mi aveva proprio coperto, palmi e dorsi erano tutti lucidi e grigini e se toccavo un dito con un altro dito scivolava e si appiccicava ed era viscido e puzzolente. E ce l’avevo in faccia, sul petto e sul davanti delle gambe e la gamba ferita mi prudeva ancora, da impazzire e a un certo punto Giovanni mi ha tirato una bella scopettata sulla testa, ma forte, che mi ha fatto bene e mi ha proprio svegliato e allora ho tirato su la testa e l’ho guardato e dovevo essere proprio un brutto spettacolo perché mi ha guardato con due occhi grandi come padelle ed è scappato. Fatto sta che mi sono tirato su anche se continuavo a scivolare nel grasso e mi prudeva tutto e avevo le mani e la faccia sporchissimi e volevo solo lavarmi un po’. Mi sono tirato su e sono salito piano piano dagli scalini.
Dopo questa mia caduta sono successe due cose. La prima, che mi è proprio dispiaciuta, è che Giovanni ha licenziato Marcello. Marcello mi stava molto simpatico e sono stato molto triste quando se ne è andato. Quando sono caduto lui non c’era, che stava facendo un giro di prova con un camion, e quando è tornato mi ha trovato che mi lavavo, che avevo ancora grasso dappertutto. Mi ha chiesto come stavo e io ho riso e gli ho spiegato che ero caduto come un pollo, e però lui continuava a chiedermi se avevo picchiato la testa, e non capisco perché visto che non avevo bernoccoli, lui mi diceva che parlavo strano e dopo un po’ non era più divertente. Fatto sta che poi Marcello e Giovanni hanno litigato, ma io non li sentivo bene perché stavano di là in ufficio e non sono fatti miei quando la gente chiude la porta prima di parlare. E però a un certo punto Marcello è venuto via tutto arrabbiato e gridava che ci mandava la polizia del lavoro, e Giovanni gli diceva di non azzardarsi se voleva la liquidazione. Mi è spiaciuto molto, fatto sta che Marcello non l’ho più visto.
L’altro fatto che è successo dopo la mia caduta è che sono diventato sonnambulo. È iniziato subito quella notte lì, che sono andato a dormire dopo essermi fatto cinquemila docce per lavare via tutto il grasso che avevo addosso ed ero veramente stanchissimo, anche se non era proprio venuto via tutto. Mi sono svegliato che mi ero tirato su e stavo seduto sul bordo del letto, con una ciabatta sì e una no. Lì per lì non ci ho fatto caso e ho pensato che, già che c’ero, potevo andare a fare pipì. Però posso dire che le cose sono iniziate proprio lì, con quella cosa piccola del tirarsi su dal letto.
La mattina mi sveglio e va tutto bene e vado al lavoro. Per le scale incontro la signora Pofferoni del piano di sotto, che mi dice che non ho una bella cera, ma io ci ho detto che non ce l’ho neanche brutta, la cera, che mica vendo le candele. Lei ha riso e mi ha accarezzato la testa come fa sempre, ma poi ha fatto la faccia strana e si è guardata le dita, però io ero un po’ in ritardo e l’ho lasciata lì, che non ho tempo per le anziane signore che si rimirano le dita. Dovevo andare al lavoro! Anzi, da quel giorno ho sempre avuto proprio voglia di tornarci, al lavoro, e ogni giorno l’officina mi sembrava un posto sempre più bello e luminoso, e anche la buca del grasso mi sembrava un po’ meno buia e anche un po’ meno puzzolente. Però, dicevo, sono diventato sonnambulo. Questa cosa è un po’ magica, perché ho sempre pensato che quando uno dorme non può fare le cose, nella realtà, anche se poi ogni tanto si vede nei film che uno si addormenta e poi si mette a camminare con le braccia tese davanti a sé, che non bisogna svegliarlo che se no soffre. Ma ho anche pensato che questa cosa magica del sonnambulismo mi poteva venire in aiuto, perché se imparo a fare le cose mentre dormo poi da sveglio posso stare tutto il tempo a fare niente. Mi piacerebbe tanto saper lavare i piatti, da addormentato, che è una cosa che proprio non mi piace fare, soprattutto lavare le posate, che sono sempre tante e fatichi fatichi e sembra non finiscono mai. Comunque al lavoro tutto bene, dicevo, anche se Giovanni ha iniziato a guardarmi un po’ strano. Cioè, non proprio strano, però si vedeva che mi teneva d’occhio, e dove andavo io andava anche lui. Era preoccupato, credo, perché non voleva che cadevo ancora nella buca, ma tanto ormai stavo bene attento, e anzi mi sentivo molto scattante e molto forte, e sapevo che non potevo cadere più.
Il giorno dopo, la notte, mi sono svegliato ancora, ma questa volta stavo in piedi all’ingresso di casa. Mi sono svegliato che avevo le mani sulla maniglia della porta e tiravo, ma la porta era chiusa a chiave e ho pensato che come sonnambulo non ero mica tanto furbo se non sapevo neanche girare una chiave. Me ne sono tornato a letto, che dovevo avere davvero molto sonno perché mi son visto allo specchio e avevo certe occhiaie da far spavento. Quando ho incontrato ancora la signora Pofferoni, al mattino, non sono stato tanto a parlarle, ma mi sa che anche lei non voleva dirmi niente. Al mattino ho sempre questa cosa adesso, che sono pieno di energie e voglio proprio andare al lavoro, che quasi mi metto a correre.
È passato un po’ di tempo e in officina adesso è un po’ strano, perché da qualche giorno non ci sono più camion dei clienti, e ho visto che Giovanni li manda via, quando arriva qualcuno. Io di solito sto nella buca, ad aspettare che passi il tempo e a sentire gli odori, che stanno diventando interessanti. Un giorno mi è sembrato di poter sentire l’odore delle stelle, che è una cosa un po’ pazza da dire. Giovanni fa anche spesso delle telefonate, che è strano perché lui odia il telefono, ma adesso quasi sempre sta attaccato alla cornetta quando non mi guarda, poi torna a guardarmi. Succede che io non lo faccio apposta ma con l’officina vuota e niente da fare c’è grande silenzio e io sento quello che dice, ogni tanto, e ogni tanto sento anche quello che gli risponde la persona dalla cornetta, anche se è un suono molto molto piccolo. Sembra che Giovanni è preoccupato, ma anche contento, sta succedendo qualcosa che stavano aspettando da tanto, lui e la persona al telefono, e Giovanni dice anche che non vede l’ora di smetterla con l’officina, che non è una cosa bella da dire, e la persona al telefono gli dice che sarà premiato per la sua pazienza e il suo servizio, e poi ho iniziato a fare ummm ummm, perché non volevo farmi i fatti degli altri. A volte gratto con l’unghia i mattoni nella buca, e a volte fanno rumore proprio di grattugia e poi si rompono.
Comunque è successo che le mie camminate notturne si sono allungate e una volta mi sono trovato sul pianerottolo, una volta per strada, fatto sta che è chiaro che quando dormo mi viene proprio da tornare in officina, anche se non c’è niente da fare, e Giovanni deve averlo un po’ capito anche se non ci ho detto niente, perché mi ha messo un divano, che è proprio una mossa super. Così ora di giorno sto in officina e sonnecchio spesso, che ho molto sonno in questi giorni, e quando mi sveglio quasi sempre sono tornato, da addormentato, nella buca, e qualche volta mi fermo anche a dormire la sera, sul divano, che è molto comodo. Ora, lo so che sembra strano, e un po’ lo è, però nella buca adesso ci sto molto bene. Quando avevo otto anni e stavo ancora con mia madre avevamo un cane che ci aveva messo due mesi per farsi la tana, a furia di rosicchiare gli stracci e spaccare la sua cesta, che alla fine era diventato un mucchio marrone e senza forma e lui ci entrava ed era felicissimo e si vedeva che non avrebbe cambiato il suo posto per tutto l’oro del mondo, anche perché poi un cane dell’oro non se ne fa molto. Comunque io mi sentivo così, proprio comodo nella mia buca, e a volte facevo dei sogni strani ma anche molto belli, e vedevo come delle comete, ma c’era soprattutto un grande nero vuoto e nei sogni passava tanto tanto tempo e però non dormivo mai più di un’ora e quando mi svegliavo c’era sempre Giovanni, lì vicino.
Ma non devi pensare che ho abbandonato la mia casa. Non lo farei mai, perché a casa mia c’è Giampiero, che è il mio cactus. Devo bagnarlo poco poco, il fiorista me l’ha ripetuto tante volte finché si è convinto che avevo capito. Una volta la settimana ci do tre tazzine da caffè di acqua, che a me sembra pochissimo ma si vede che per Giampiero è OK perché beve pochissimo e ce l’ho da due anni e sembra proprio felice, credo. Comunque il giovedì io devo bagnare Giampiero, e anche se mi spiace lasciare la buca non posso certo farlo morire di sete. La prima volta che sono tornato a casa dopo un po’ di giorni che dormivo in officina mi sentivo un po’ strano, che mi sembrava una casa di qualcun altro, tutto era pulito e asciutto e, non so spiegare bene, tutto sembrava troppo poco unto. Poi devo aver avuto un’ideona, forse ce l’ho avuta nel sonno, non so, però il giovedì dopo ho proprio avuto questo desiderio di portarmi a casa un po’ del grasso della buca. Giovanni è stato davvero super previdente, perché mi aveva già preparato una tanica, e allora sono andato nella buca con la tanica e un tubo di gomma, ho infilato un pezzo del tubo nel grasso, tra i buchi della griglia, e mi sono attaccato all’altro lato del tubo, a tirare su come una cannuccia. Me ne è finito un po’ in bocca, mi sa, ma ormai mi devo essere abituato, perché non mi sembrava più tanto schifoso. Non prudeva neanche più. Comunque, è stato un lavoraccio, ma piano piano a furia di tirare su e sputare ho riempito la tanica, che è diventata di un bel grigio. Poi me ne sono tornato a casa. Giovanni ha insistito per farmi andare di notte, dice che in questo periodo dell’anno non fa bene prendere il sole. A me non sembra, che l’ho sempre preso, però l’ho accontentato, che mi fido di quello che dice. Comunque a casa ho fatto così: ho messo il tappo nella vasca da bagno. Poi, per stare tranquilli, ho messo anche un po’ di supercolla, così proprio non c’era pericolo che scappasse. Poi ho versato il grasso, che è colato piano piano come un miele e ha fatto una pozzanghera sul fondo. È stato bellissimo, perché ora casa mia iniziava ad assomigliare di nuovo ad una casa, e subito ci sono stato bene. Poi ho bagnato Giampiero.
Credo di avere litigato con la signora Pofferoni, perché quando la incrocio ora mi guarda sempre storto e quasi quasi scappa. Non mi ricordo di averci litigato, ma forse l’ho fatto mentre dormivo. Mi capita tanto di fare le cose mentre dormo, adesso. Quasi sempre sono cose belle, che una volta mi sono trovato su un palazzo alto alto, a guardare il panorama. A volte no, ma cerco di non pensarci. A dire la verità la maggior parte delle volte non capisco. Ad esempio una volta mi sono svegliato che stavo parlando con un signore che non conosco, e che mi parlava in una lingua strana strana. Anche lui era strano, era molto lucido, come se aveva sudato tantissimo, e mentre parlava la sua mascella ballonzolava, ma non come quelli tanto grassi che hanno il doppio mento, o il triplo mento, questa ballonzolava come se fosse fatta di gomma. Devo ammettere che sono un po’ confuso, in questi giorni. Mi sa che ho fatto un po’ un casino in bagno, perché adesso la vasca è strapiena di grasso, e anche il lavandino e il bidet sono pieni di grasso e ci sono anche tanti tanti secchi sul pavimento, tutti pieni di grasso, che si fa fatica a camminarci in mezzo. Però è anche un po’ bello, perché mi ricorda la buca dell’officina, e anche questa è un po’ una tana adesso. È un po’ il mio nido.
[Racconto selezionato per il concorso Esecranda 2016 e finito in una raccolta, stampata e in formato ebook]