Chi tra voi abbia la vista straordinariamente acuta noterà che l’autore, nella foto, è Damiano Malabaila. Presto detto, questa raccolta di racconti è stata pubblicata, nel 1966, sotto pseudonimo.
Primo Levi ce l’hanno imposto a forza a scuola: “Se questo è un uomo” e “La tregua” sono passaggi inevitabili. Autore importante del novecento, ebreo, partigiano, sopravvissuto ad Auschwitz, viene evocato quando si fanno i discorsi pesanti. Discorsi che vanno fatti, certo, ma che sono associati al silenzio raccolto, alla memoria del dolore, al ricordo del male. Poi ti trovi in mano questi racconti e scopri che sono classificati nei generi “fantascienza” e “umoristico”. Orpo.
Dunque, fantascienza. Bene. Ma non certo hard-sci-fi, niente astronavi, alieni, complicati viaggi nel tempo. Siamo sulla terra, il mondo è quello normale (per gli anni sessanta) e i protagonisti sono uomini. Più della metà dei racconti usa uno schema semplice: c’è un invenzione meravigliosa, qualcuno ne abusa e rovina tutto. Ve ne racconto uno, portate pazienza se ve lo rovino, ma serve per capirci. Il primo racconto con “invenzione → abuso → danno” parla del versificatore, macchina meravigliosa che compone – elettromeccanicamente – poesie, sonetti, ballate e qualunque tipo di opera in versi. La acquista, tra qualche dubbio iniziale, quello che oggi si chiamerebbe un copy, e che nel linguaggio del racconto è un poeta a pagamento. Il protagonista resta indietro col lavoro, non sempre è ispirato, e deve continuamente saltare da un’elegia funebre ad uno slogan per il detersivo, da una dedica d’amore ad un motto di spirito. Dai e dai, non ce la fa più. E quindi accetta, a malincuore, l’aiutino. Poi ne abusa e sostanzialmente smette di scrivere, tanto fa tutto la macchina.
I racconti sono in crescendo e le invenzioni sono sempre più aggressive. C’è il siero che trasforma il dolore in piacere, c’è l’ibernazione, c’è il duplicatore di oggetti e/o persone, c’è la realtà virtuale. Le conseguenze dell’abuso sono sempre più gravi, sia per i singoli che per la società. E qui, un po’, ritorna il Primo Levi che conosciamo, quello che ci han fatto studiare a scuola, l’allegrone. Comunque vada, ci dice Primo Levi, l’uomo è attratto dal male, e la combinazione fatale di egoismo ed epicureismo gli farà sempre pagare un prezzo molto alto.
La citazione
Al mio passo sollevò a stento il muso, e mi seguì con lo sguardo terribile dei cavalli spaventati.
dal racconto “Quaestio de Centauris”
Ma non doveva essere anche umoristico? Sì, certo. Ma è un umorismo amaro, l’ironia di chi vede i mali del mondo, il vecchio novantottenne che vince la lotteria e muore il giorno dopo, diecimila cucchiai quando tutto quel che ti serve è un coltello. Forse non tutti sanno che anche “Alanis Morissette” è uno pseudonimo di Primo Levi.
E comunque alcuni colpi sono lungimiranti. L’ultimo racconto della raccolta, Trattamento di quiescenza, parla di realtà virtuale come ne parlerà vent’anni dopo William Gibson in Neuromancer, con la stessa premessa (vivere in prima persona esperienze registrate da altri, modelli, atleti, escursionisti), gli stessi imprevisti (e se qualcuno muore durante la registrazione?) e gli stessi abusi (gente che non può più farne a meno e preferisce il virtuale al reale, fino a morirne).
Raccolta interessante, non straordinaria, sicuramente utile. Ne ho un altro in canna di Levi, vediamo come va.
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