Tecnicamente non è un “libro letto”, nel senso che è un fumetto o, volendosela tirare, una graphic novel. Ma ne parlo lo stesso perché a) ne vale la pena e b) siamo nel 2019, nessuno osa più dire che i fumetti non sono letteratura.
Ho iniziato a giocare di ruolo più di vent’anni fa e, in pratica, non ho mai smesso. Ci son state pause e inciampi, e il mio modo di giocare adesso che picchio sotto i quaranta è diverso da quello del me stesso quattordicenne. Ma è ancora tutto lì, le cose sono cresciute, mai sparite.
E ho iniziato, ovviamente, con Dungeons & Dragons. Ricordo bene il mio primo personaggio, un mago caotico-buono che per nome aveva il mio cognome letto alla rovescia. Perché sempre il primo personaggio che fai è quella roba lì: te stesso, idealizzato, fantastico, eroico. Come ti vedi e come ti vorresti vedere.
E questa cosa che mi è successa, per cui quando c’è un certo clima, un certo vento autunnale io vengo immancabilmente travolto dalla nostalgia e dalla voglia di far rotolare i dadi, tutto questo lo devo anche a lui, al creatore di D&D, al nonno del gioco di ruolo: Gary Gygax. Capite quindi che non sono un relatore neutrale, sono anzi il peggiore dei cronisti, perché anche se non l’ho conosciuto di persona la sua opera ha influenzato la mia vita. E l’ha fatto negli anni peggiori, quando sei debole e plasmabile, e ogni cosa che ti entusiasma te la rinchiudi nel cuore e non la lasci più andare.
Quest’opera è, appunto, una biografia a fumetti. Ma il titolo parla chiaro: di Gygax vediamo poco della vita privata e ci concentriamo soprattutto sulla nascita di Dungeons & Dragons. Intanto va detto che nessuno inventa mai niente da zero: Gygax è partito come appassionato di “giochi di simulazione di battaglie storiche”. Il precedente illustre è “Little wars”, un gioco di battaglie scritto nel 1913 da H. G. Wells (sì, il romanziere) che con la sua sessantina di pagine si presentava come “un gioco per ragazzi da dodici a centocinquant’anni e per quelle ragazze, più intelligenti delle altre, a cui piacciono i libri e i giochi da maschi”. Come si dice in questi casi: era un’altra epoca.
Little wars era appunto un gioco di simulazione di battaglie. In pratica è come giocare coi soldatini, ma con un sacco di regole extra. Gygax ci gioca e gioca ad altre cose simili e si appassiona, certo, e come tanti si inventa le sue regole domestiche, certo, ma fa anche qualcosa di più. Ha due intuizioni: che sarebbe stato divertente essere in carica non di un generico battaglione di soldati, ma muovere invece un singolo personaggio, un eroe a cui affezionarsi, da riempire di dettagli, da specializzare; e che si poteva uscire dal sentiero stretto delle simulazioni storiche. Si aprono così orizzonti sterminati, entra in gioco il fantastico: draghi, maghi, spade incantate, mostri. È una miscela esplosiva, Gygax lo capisce. Altri no.
La citazione
«So, instead of a general, you are a wizard.»
Gary Gygax scopre che il salto da Waterloo a Camelot non è per tutti
«What? You can’t be a wizard!»
«It’s a game! You can be anything!»
«In that case I can be out of here.»
Più avanti, quando Gygax aveva già tra le mani la primissima bozza di D&D nessun editore di giochi gliela volle pubblicare. Una delle critiche principali era: che senso ha un gioco dove nessuno vince? Gygax e soci sono costretti a fondare una loro casa editrice, e nasce così la TSR: Tactical Studies Rules. D&D esplode e fanno un sacco di soldi.
Poi, come in ogni storia che si rispetti, le cose si fanno complicate. La compagnia cresce a dismisura e Gygax ne perde il controllo. Scoppiano un paio di scandali e l’america puritana si accorge che i propri figli parlano di magie, negromanti, demoni. Pochi riflettono sul fatto che nelle storie i ragazzi sono gli eroi e i demoni sono i nemici da sconfiggere. Non importa. Il gioco è il problema. È il gioco a far andare gli adolescenti fuori controllo. Certo. Ci ha pure fatto un brutto film Tom Hanks, per dire.
Succedono poi un sacco di cose, D&D trae forza dalle campagne denigratorie, influenza i videogiochi, diventa una delle pietre fondanti della cultura nerd. E ancora oggi naviga a gonfie vele, reincarnandosi, evolvendosi, adattandosi. A chi lo dava per morto durante il flop della quarta edizione viene sbattuta in faccia la quinta, un piccolo capolavoro, che appena uscita va in cima alle classifiche di vendita di amazon nel mondo. Non nella classifica dei giochi, eh. Nella classifica dei libri. È morto il re, viva il re.
Mi rendo conto di non stare parlando davvero della graphic novel in sé, ma la carriolata di cose che ho imparato ruba il centro della scena. Che però è anche un modo per dire: vale la pena leggerla, questa graphic novel, anche solo per le cose che si scoprono. C’è anche altro, ovviamente. I disegni, ad esempio. Sono sobri, un po’ francesi, un po’ troppo enfatici sui volti e gommosi sui corpi. Però funzionano, mi fanno riconoscere i personaggi, rendono più veri gli aneddoti. La narrazione è asciutta, si concede un piccolissimo vezzo nell’uso della seconda persona singolare per scimmiottare i dialoghi da gioco di ruolo – vezzo che a me piace, ma sono di parte. Si capisce che gli autori non vogliono romanzare troppo, vogliono aderire ai fatti e alle conseguenze dei fatti. Anche perché i fatti sono molti e le conseguenze sono incalcolabili. Il risultato è un’opera solida, supportata da ricerche e interviste, che va ben oltre una facile operazione nostalgia. Gary Gygax ha aperto un portale che non si richiuderà mai, e questa è la storia di come c’è riuscito.
PS: ho rimuginato molto sul fatto che da questa rece Gygax ne esce osannato, forse un po’ troppo. Occhio che come uomo non era un santo, ma proprio per niente. Quando è stato il momento ha un po’ fatto le scarpe a Dave Anderson, più artista e meno imprenditore di Gygax, ma pur sempre co-creatore dell’idea originale. E poi il rapporto di Gygax con le donne non era positivo: oggi verrebbe fatto a pezzi su twitter e gettato nella cesta dei misogini. La verità è che non ne so abbastanza e che, a parte i fan (quelli che lo osannano e quelli che vorrebbero pisciargli sulla tomba) un po’ tutti ammettono che non è facile incasellarlo. Come tutti i personaggi ben riusciti aveva grossi pregi e grossi difetti. Il fumetto comunque è figo.