Questo posto è una città stato protetta da mura altissime. C’è una memoria collettiva di un passato non troppo lontano in cui un grande regno dominava questa e altre città, soggiogando tutto e tutti e imponendo l’ordine. Ora il regno è caduto e gli spostamenti si sono fatti difficili, le strade non sono più sicure e la città si è trovata sola, rintanata dietro le sue mura.
La caduta del regno ha generato un grande vuoto di potere: chi amministra la giustizia? Chi garantisce l’ordine? Nella città imperversano le fazioni, le strade sono teatro di scontri continui. Quando qualcuno riesce a guadagnare un po’ più potere degli altri subito cerca di ammantarsi di ufficialità, subito batte moneta, promulga leggi, si fa costruire statue equestri. La città, bellissima, è quasi soffocata dai monumenti.
Ma c’è dell’altro. Ogni nuovo cambio di potere è anche occasione per regolare vecchi conti aperti. Quando va bene i nemici della fazione salita al potere vengono esiliati. Più spesso, uccisi. La pena capitale è comminata con grande liberalità, e c’è un gusto macabro per la sofferenza delle carni. Non v’è torre, piazza o chiesa che non sia addobbata di qualche resto macabro, qualche testa mozzata, qualche cuore strappato, a monito permanente verso i nemici dei potenti di turno. Ma non è questo a rendere diversa la città: una certo ritorno alla violenza è comune durante le transizioni al potere. No, a renderla unica c’è una regola profondamente radicata nella mente dei cittadini: i boia possono solo essere bambini.
Interrogati degli indigeni a riguardo ho ricevuto scrollate di spalle e risposte abbozzate. È così da sempre, dicono, anche se io ho i miei dubbi sul fatto che ai tempi del regno fosse questa la consuetudine. La giustificazione – la razionalizzazione, mi verrebbe da dire – è che fare il boia è considerato un mestiere impuro. I bambini contrastano questa immoralità con la loro purezza intrinseca e, in teoria, non ne vengono corrotti. In pratica è uno shock da cui non si riprendono, e che ha effetti visibili sulla popolazione. Notare che le esecuzioni sono tantissime. Ho calcolato che ogni cittadino adulto da bambino deve aver prestato servizio come boia almeno dieci volte, spesso molto di più. Sembra un numero grande ma va considerato che per motivi pratici ad un’esecuzione possono partecipare tra cinque e venti bambini. Che debbano lapidare o bastonare a morte o squartare il malcapitato, la forza lavoro richiesta è notevole. Tutti gli altri aspetti della somministrazione della giustizia (sentenze, carceri, allestimento dei patiboli…) sono gestiti dagli adulti in maniera tradizionale. Quando viene il momento dell’esecuzione di una condanna a morte i bambini vengono scelti tra i molti che popolano la città. Per loro è un gioco.
Quali sono gli effetti sulla mentalità delle persone? Non è facile rispondere. È certamente una popolazione di gente che si lascia turbare poco o nulla, e l’uso della forza per risolvere i conflitti è considerato normale. Manca altresì del tutto una tradizione diplomatica. Ma non sono né selvaggi né pazzi furiosi né, di contro, paiono apatici. Sembra che la tradizione dei boia bambini faccia sì che tutti gli adulti abbiano ben chiara la caducità, la fragilità della vita. Ciò nonostante la popolazione, nella sua collettività, non sembra progredire verso una qualche trascendenza. È invece diffuso un certo epicureismo. E, come dicevo poco sopra, mantengono il gusto spiccato per la violenza. “Così va la vita” ho sentito spesso ripetere in città.
AZIONE CONSIGLIATA: annessione e arruolamento in massa in ruoli di burocrazia.