[Racconto scritto per il concorso “Urbanità tentacolare“. Come è d’uso non ho vinto. Il grande piano super loser sta in effetti venendo su benissimo. Ringrazio come al solito Raffaella per il paziente lavoro di editing.]
Questa mattina l’impiegato Raffaele Lorpio si è svegliato con il cuore pesante. Non è la prima volta, gli capita spesso, ma mai come oggi e mai così tanto. L’ansia lo attanaglia con forza, parte da una contrattura al centro esatto del petto, sopra lo stomaco e sotto il cuore: un punto solido di angoscia, paura imprecisa, tensione. Raffaele sa tutte queste cose ancora prima di aprire gli occhi, ancora prima di essere davvero sveglio. Ecco cosa gli dicono il suo corpo, i suoi nervi, il suo sangue: sta per succedere qualcosa.
Raffaele sbadiglia, esce dal letto, strizza gli occhi, si veste. La sua casa è vuota e un po’ sporca. Non tanto sporca, non si è ancora lasciato andare, non del tutto. Cibo pronto, polvere negli angoli, qualche briciola che scricchiola sotto le ciabatte. Fa il caffè, fa colazione. Venti minuti dopo chiude la porta di casa, stanco ma sveglio, assonnato ma vigile. Esce nella giornata piatta sotto un cielo bianco. Nella galleria degli specchi cento milioni di Raffaele Lorpio vanno a prendere il medesimo tram con la medesima espressione: “Infelice”. Ma anche: “Non parlarmi”. Lui pensa: sta per succedere qualcosa. Eccolo alla fermata, sotto la pensilina, attende il 23 assieme agli altri viaggiatori, gente che quasi conosce, che vede tutti i giorni. Non sa nessun nome. La sua ansia lo avvisa: stai attento, sta per succedere. Lui non vuole crederci, vuole metterla da parte. La colazione gli fa bruciare lo stomaco: troppo caffè. Strizza gli occhi. Prova a fare un respiro profondo, poi un altro. Un po’ serve. Marginalmente. Poi si accorge che già qualcuno lo guarda. Si sta comportando in modo strano, smette, non vuole attenzioni, torna a guardare in basso. Il marciapiede è rotto, nelle crepe c’è una polvere nera e fine. Sta per succedere, ormai ci siamo. Arriva il tram, sale, va in fondo, si siede, il tram riparte.
Forse ha dimenticato l’abbonamento. Si tocca, trova il portafoglio. Non vuole tirarlo fuori, mostrare a tutti dove lo tiene, in giro ci sono i ladri. Sicuramente l’abbonamento è dentro, al solito posto. Eppure. Dal fondo del tram guarda fuori dal finestrino e vede il suo condominio allontanarsi. Non gli è mai piaciuto il piede del condominio: cemento a vista, una volta li facevano così, costava meno. Più in alto, invece, una griglia di finestre e balconi. Cerca la sua casa con gli occhi, lo fa tutti i giorni, tutti i giorni c’è una frazione di secondo, un attimo in cui pensa: e se me l’hanno portata via? Se non esiste più? Se è svanita, rubata, esplosa, mangiata? Dura un momento soltanto, e tutti i giorni poi lo trova: il mio balcone, la mia finestra. Casa. Che scemo che sono, a preoccuparmi. L’abbonamento?
Ha la mano dentro la tasca, e dentro la tasca stringe il portafoglio. Si guarda attorno, strizza gli occhi. Tutti lo stanno guardando, è chiaro. Cerca di muoversi con disinvoltura. Resiste ancora un po’, stringe forte la mascella, prova a pensare ad altro, si guarda attorno, ma tanto è inutile: cede, tira fuori il portafoglio, apre, guarda l’abbonamento. Tutto a posto. Strizza gli occhi, mette via.
Il tram fa una fermata e sale un uomo grosso, brutale, ricurvo. Un orco. L’orco indossa una tuta blu da lavoro, di quelle da operaio, fruga tra le tasche, estrae un biglietto sporco con le sue mani sporche. Certo grasso non viene mai via. Timbra, si avvia verso il fondo del tram, la gente si sposta spaventata. L’orco si siede a due posti di distanza da Raffaele. Quando poggia tutto il peso si sente un cigolio. Raffaele è terrorizzato. Quest’uomo è pericoloso. Quest’uomo potrebbe ucciderlo, e lui non potrebbe difendersi in nessun modo, piccolo com’è, fragile com’è. Raffaele guarda lo spazio tra i suoi piedi e poi guarda l’orco, questo gira appena la testa e Raffaele toglie subito lo sguardo, si concentra sul vuoto davanti a sé. Si sente addosso gli occhi dell’altro, occhi maligni, occhi violenti. Ecco, sta per succedere.
Ma non è il solo, no. La galleria degli specchi riflette altri viaggiatori, poco più avanti, stanchi, ansiosi, grigi, impiegati come lui, rispettabili come lui, terrorizzati come lui. Raffaele vede i suoi doppi guardare in tralice l’orco e poi fingere di non guardarlo. Come lui. Sono in tanti. Potrebbero assalirlo.
L’orco allunga le gambe davanti a sé e blocca tutto quanto, è altissimo e disumano e le sue gambone attraversano tutto il tram come una barriera. Ecco il patto: l’orco non vuole dare battaglia, l’orco vuole una vittima. Raffaele è in trappola. La porta per scendere è dall’altro lato, oltre l’orco, e lui non può scappare. Gli altri viaggiatore guardano Raffaele, sollevati che non sia toccata a loro. Qualcuno si alza, qualcuno si allontana, tutto lo abbandonano: buona fortuna. L’orco socchiude gli occhi, come nelle fiabe. Sonnecchia sogghignando. Ha la sua preda. Raffaele, solo, abbandonano da tutti, Raffaele stringe i pugni, non vuole arrendersi, è terrorizzato, strizza gli occhi. Pensa, si arrovella, immagina: andare, balzare in piedi, coordinarsi, aspettare il momento giusto, il tram che si ferma, le porte che si aprono, scavalcare, saltare, correre, libertà, libertà!
Andrà tutto bene, che sciocchezza. Che stupido che sono ad avere paura, è solo un uomo, un operaio, anzi magari sta tornando a casa dal turno di notte, è stanco. Eppure. Guarda fuori: solo condomini, non ci sono fabbriche qui. Allora ha sonno perché è mattino. Oppure.
Oppure finge. Finge di dormire. Come l’orco delle fiabe. Ma davvero mi sono ridotto così? Ho davvero paura di essere ucciso sul tram? L’ansia nello stomaco gli risponde: sì.
Il tram scarta, cla-clack, tutto ondeggia. La fermata si avvicina, arriva, si aprono le porte. Sale gente, qualcuno inciampa nelle gambe dell’orco, lui si sveglia, si stiracchia, si guarda attorno. Si gratta. Non mangia nessuno. Ripartono.
Raffaele guarda fuori. Che scemo. Ho rischiato di fermarmi qui, di scendere, di perdere tempo prezioso. Intanto lì fuori passano cento milioni di vite, le auto fanno a gara con il tram, qualcuno sorpassa dove non può, qualcuno suona il clacson. Il cielo è un foglio bianco e i palazzi sono denti. Ogni tre condomini un’aiuola, ogni tre aiuole un parchetto. Sta per succedere qualcosa. Ma cosa?
Dopo cinque fermate Raffaele scende, non guarda l’orco, guarda l’ora. È in orario. Si incammina. Il paesaggio ora è cambiato, deve attraversare un tratto spoglio nella città mutante. Attaccato al marciapiede c’è un lunghissimo muro grigio e pasticciato, graffiti, impatti di paraurti, manifesti elettorali. Dietro il muro c’è un qualcosa, poteva essere un’officina, una fabbrica, uno zuccherificio. È grande, sporco, c’è roba arrugginita, si intravede nelle crepe. Raffaele lo deve costeggiare tutti i giorni, lui e i suoi fratelli di viaggio, stonati con l’abito formale nella città scalcagnata. Ma è la via più breve, non si può perdere tempo, fanno tutti così. Sta per succedere qualcosa, a questo punto è chiaro. Raffaele sa anche dove succederà: tra cinquecento metri c’è un sottopassaggio ferroviario. Sopra, i treni, sotto, le vittime. Girano voci. Non ha mai visto niente, lui. Cioè, ha visto i soliti, gente che chiede soldi, o qualcosa da mangiare, gente sporca, cattivi odori, il tizio col cane, il tizio che si gratta. Lui non vuole il male di nessuno ma ha sempre saputo che se deve succedere qualcosa di terribile succederà lì, deve succedere lì, sotto la luce piatta del neon, nell’olezzo di orina, per mano straniera. Tutte le mattine ci passa. Prima o poi deve succedere. Sta per succedere. Arriva al sottopassaggio. Ecco il momento. Scende. Lo stomaco gli si contrae, strizza gli occhi, stringe i pugni, respira con affanno.
E poi emerge dall’altro lato, incolume. Nessuno l’ha sfiorato, nessuno l’ha guardato. Ma non basta, non serve: il suo cuore resta pesante, lo stomaco resta contratto. Però il paesaggio è cambiato, adesso ci sono edifici alti, luminosi, infinito vetro e infinita plastica e una grande scritta azzurra che campeggia in alto: il nome dell’azienda. Raffaele già pensa a scadenze, compiti, telefonate che non vuole fare, lettere che non vuole scrivere, persone, persone ovunque, persone che non gli piacciono e con cui dovrà condividere spazi, pause, caffè, parole. Il suo stomaco è in fiamme, l’acido gli sale in gola. Oggi succederà qualcosa di terribile. Raffaele si avvia con gli altri, arriva ai piedi dell’edificio, strizza gli occhi, entra.