Cara F.,
con la tua solita mescolanza di profondità e innocenza scrivi:
Un pensiero che mi frulla in testa da giorni, forse settimane: come si fa a convivere con la consapevolezza che anche delle nostre azioni semplici e basilari come mangiare un frutto o un piatto di verdura sono a spese della sofferenza di altre persone?
(Mi riferisco alla faccenda caporalato, di cui si è tornati a parlare per via della mancanza di manodopera da schiavizzare a causa del lockdown.)
Lì per lì ti ho risposto in maniera un po’ paracula, che ho visto il tuo post mentre ero in mezzo all’ennesima videochiamata e scrollavo per non morire di noia. Vediamo di elaborare meglio.
Dico subito che non ho intenzione di risponderti nello specifico, ovvero sul problema del caporalato. Ho visto che parecchia gente già ti propone iniziative varie, filiera corta, discount, tutte cose. Vedrai un po’ tu. Ma in questo pigro lunedì pomeriggio vorrei provare ad affrontare il problema in termini più generali, ovvero: come convivere con la consapevolezza che qualunque cosa io faccia, il mio stile di vita ha ripercussioni (negative, dolorose, immorali) sulla vita di qualche povero stronzo?
È un problema piuttosto serio, piuttosto grave, che non può avere una soluzione facile e indolore. A te ora capita di ragionare sul cibo e sul problema della raccolta dei pomodori (cioè, tu non parli di pomodori, ma passami la sineddoche). Fammene elencare qualcun altro, di problema, per tuo grande gaudio:
- elettronica: il dispositivo con cui ti scrivo, e su cui mi leggi, contiene degli elementi (terre rare, cobalto, neodimio) che sono estratti, beh, dove ci stanno le miniere. Molti li estrae la Cina da miniere cinesi. Molti li estrae la Cina da miniere africane. Non che io ce l’abbia con la cina (Xi, se mi stai leggendo, ni hao). In questa filiera abbondano carinerie: lavoro minorile, inquinamento, condizioni di lavoro simili alla schiavitù…
- abbigliamento: c’è caso che quello che stai indossando in questo momento possa essere stato prodotto in uno sweathshop (pigro link a John Oliver). Magari no, magari tutti i tuoi vestiti sono fair trade certified, molte grazie, kumbaya kumbaya. Magari non lo sai. Io so di non saperlo, in questo momento mi sto guardando le simpatiche calze a righine che mi fasciano i piedi e mi chiedo: da dove vengono? E la risposta è: non ho modo di saperlo
- consegne a domicilio: i rider in bici con il cubotto sulle spalle che si vedono in giro per Milano hanno quasi tutti la pelle scura. Questa cosa grossomodo, in un angolo della testa, un po’ ce lo dice che non deve essere un lavoro tranquillo, ben pagato, figata. E siamo tutti consapevoli che nel grande marchingegno capitanato da Jeff Bezos qualcuno viene stritolato
Questi esempi secondo me picchiano sullo stesso dilemma etico dei pomodori. Ho cercato di parlare di cose che per funzionare, per fornire a me un bene o un servizio, richiedono da qualche parte uno schiavo (o qualcosa che va in quella direzione). Ad esempio non ho parlato dell’inquinamento globale, che in questi giorni di covid è un po’ passato di moda, ma Greta ci ricorda che andare in aereo è proprio una di quelle cose che sbraaa. Peeew. Badabam. Ci siamo capiti.
Quindi, inquadrato il problema, dobbiamo chiederci: che fare? Per rispondere devo appoggiarmi alla scala etica “Carne a merenda ↔ Respiriano”.
Così in effetti è un po’ povera, lasciamela popolare.
La scala “Carne a merenda ↔ Respiriano” è ovviamente una sciocchezza, non descrive le mille complicatezze della realtà, ma serve per il discorso che volevo farti, ovvero: dove metti l’asticella?
Perché secondo la logica intransigente dei Respiriani (una frase che non avrei mai pensato di scrivere) tutto è vivo. Anche le piante. Anche il plancton. E chi sono io per decidere che questo specifico batterio lactobacillus rhamnosus, che per brevità chiameremo il signor Leopoldo, ecco, chi sono io per decidere che il signor Leopoldo merita di morire solo perché io voglio mangiarmi pane e formaggio?
Il problema è che hanno ragione. Hanno ragione all’interno della loro logica intransigente, e per uscirne dobbiamo rilassare certi vincoli, accettare certi smorzamenti. Il bello delle logiche intransigenti è che sono semplici e danno proprio soddisfazione. Esci dalla torre d’avorio e vedrai come tutto si fa confuso.
E poi c’è un altro cazzo. Se tu dici “sì, vabbè, ma chi se lo incula il lactobacillus” stai dicendo che il tuo benessere (panefformaggio) è più importante del benessere del signor Leopoldo. Magari la metti giù un po’ meglio, magari dici che, sì, insomma, qualcosa tu dovrai pure mangiare. Benissimo. Però sei anche una persona straordinariamente intelligente, e subito capisci che se adesso spostiamo l’argomento dall’alimentazione (e dallo specismo) ai pomodori (e caporalato) ci troviamo esattamente nella stessa situazione. Dove metti l’asticella?
Con una consapevolezza: più sposti l’asticella nella direzione dell’empatia verso il prossimo e più devi farti degli sbattimenti, in termini di costi, di energie investite, e di desideri frustrati (“No, non posso comprare questi cereali anche se sembrano buonissimi: sto boicottando la Nestlé”, e cose simili).
Ovviamente non so darti una soluzione, anche perché ho il sospetto che una soluzione non esista. Posso dirti quello che cerco di fare io. Dal punto di vista dell’alimentazione sono pocotariano (il termine grossomodo ufficiale è flexitariano), che mi sembra una di quelle robe che se tutti facessero così almeno sparirebbero gli allevamenti intensivi, che sono una merda. È un compromesso, veh, e potrei fare di più, ma per il momento qua sto.
In termini più generali mi sto interessando al movimento dell’altruismo efficace, che vuol dire sostanzialmente ingegnerizzare l’etica. Ne so ancora troppo poco per darti consigli, che peraltro finirebbero per essere personali.
Infine ci sarebbe il problema del votare. La prossima volta che metti una croce su una scheda elettorale tieni conto anche di questo: quali partiti parlano di caporalato e i diritti dei lavoratori? Quali ne parlano seriamente?
Tutto fatto con una grande consapevolezza: sono pezze. È un autoassolversi, un lavarsi la coscienza. Ne sono tragicamente consapevole. Il fatto che noi si viva qui, oggi, è comunque una botta di culo schiacciante, che se ci pensi, se pensi a tutto quello che serve (o che è servito) per permetterci di avere lo stile di vita che abbiamo, sbrocchi. E magari fai pure bene a sbroccare, non so.
E questo è quando. Come promesso in incipit, niente sconti e niente soluzioni facili. Stacce.
PS: il titolo è chiaramente una citazione dei REM. Prima di ascoltare davvero il testo pensavo che la canzone dicesse Everybody Hurts nel senso di “tutti fanno male (a qualcun altro)”, non nel senso di “tutti soffrono”. E niente, mi è sempre sembrata una figata, una perla di saggezza. Poi ho letto il testo e ho scoperto che parla di depressione. Ok.
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