Ursula Le Guin – I reietti dell’altro pianeta

Se pensi “con un titolo così, sarà una porcata”, beh, sbagli. Il titolo italiano è la classica traduzione a cazzo, fatta per portare a casa la giornata. Se vogliamo tirarcela possiamo dire che il titolo inglese “The Dispossessed” è una citazione di “Demoni” di Dostoyevsky, che pare che venisse tradotto negli stati uniti come “I posseduti”, ovvero, appunto, “The possessed”. Per dire.

E poi il libro di fantascienza ha pochissimo. È vero, ci stanno due pianeti. Uno, Urras, il pianeta madre, con due grossi blocchi di potere: uno capitalista, uno “comunista” – in realtà ormai una dittatura militare. L’altro pianeta, Annares, è una luna di Urras che è stata colonizzata da un piccolo contingente di anarchici circa 250 anni prima della storia che viene raccontata. Queste le premesse. Il tema centrale, si capisce, non è l’avventura.

43880351_2099351673661862_8494595032517443584_n

Il romanzo è una lunga analisi dei pregi e difetti delle varie società toccate da Shevek, geniale scienziato che viaggia – primo a farlo dall’insediamento della colonia lunare – tra i pianeti. E l’analisi arriva a dare un messaggio forte e chiaro: fa tutto schifo.

Ogni sistema sociale sul lungo periodo degenera. Anche la società anarchica, utopica, libertaria che c’è sulla luna finisce per tradire i propri ideali. Lì non ci sono assegnazioni di potere formali e permanenti, ma alcuni individui riescono ad accumularlo lo stesso, il potere, e alla fine uno non vale uno, ma proprio per niente.
Sull’altro pianeta le cose non vanno molto meglio. La società capitalista è quello che sappiamo: si sta molto bene, in alto. Che poi, bene. Ci si barcamena tra un aperitivo elegante e un viaggetto fuori porta, sempre attenti a stare ben ben isolati: dai poveri, dai vicini, dall’introspezione. Se invece stai in basso c’è solo miseria e oppressione.

E quindi? Non ci si salva mai?

Certo che ci si salva. Ma solo nell’attimo fatale della ribellione. Durante la rivoluzione, durante l’atto violento che spezza le catene, c’è libertà: incontenibile, amorfa, perfetta. Poi tutto si calma e torna, lentamente, a corrodersi. Dai e dai mi tocca proprio usare la locuzione “rivoluzione permanente”. Non volevo, ma mi ci vedo costretto. Solo la rivoluzione permanente può garantire la vera libertà, tutto il resto è noia.

La citazione
In un sacrificio umano agli dei ci poteva almeno essere una terribile, malintesa bellezza; nei riti del cambiavalute, in cui si dava per assodato che l’ingordigia, l’ignavia e l’invidia fossero gli unici moventi degli atti umani, perfino il terribile diveniva banale.

Questo dice Le Guin. Non posso dirmi del tutto d’accordo, ma certi aspetti, certi ragionamenti sono inattaccabili. E poi lei è figlia del suo tempo: il libro è del 1974, il clima politico era diverso, c’era impegno, c’era chi si definiva anarchico in maniera non ironica. Non che poi lei si sia rimangiata le opinioni, che io sappia.

PS: il libro è comunque proprio tradotto male, con una qualità che peggiora mano a mano che ci si approccia alla fine, fino ad arrivare a veri e propri errori grammaticali. Pubblicato da Mondadori, eh, mica cotiche. Per dire: ci ho messo 300 pagine (il libro ne ha 340) per capire chi cazzo fossero gli “archisti”. Poi ho avuto l’illuminazione: è il modo con cui quelli di Annares, il mondo anarchico, chiamano gli altri, quelli di Urras. In inglese gli uni sono anarchist, gli altri archist, per contrapposizione. Ok. In italiano però diciamo anarchici, non anarchisti, e quindi si dovevano chiamare archici. Che tanto né archisti né archici son parole esistenti, ma una traduce fedelmente le intenzioni dell’autore, l’altro mi confonde e basta. Eddai.

Solite cose social:

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *