Questo posto è una tribù che abita una foresta rigogliosa e fertile. La varietà di piante e animali è straordinaria, gli uccelli coprono tutti i colori dell’occhio umano e sovrumano, le piante sono così ammassate da creare muraglioni verdi e impenetrabili, ci sono felci grandi quanto triceratopi e funghi su cui ti puoi sedere. La tribù non ha un nome, ma si riferisce a se stessa solo come “nüatar”, che non sono riuscito a tradurre. La lingua è difficile, un po’ per i suoni, un po’ perché la grammatica punta molto su concetti a me alieni e poco su cose che riterrei più pratiche. Ad esempio hanno quattro modi di salutarsi: uno per esprimere rispetto/riverenza; uno per dichiarare la propria felicità nell’aver incontrato l’altro; uno per dare credito alla presenza dell’altro ma insieme affermare di non aver tempo per fermarsi a parlare; e uno per chiedere qualcosa. È considerato maleducato chiedere qualcosa senza aver iniziato la conversazione con il saluto appropriato, in modo che la persona sappia che fin da subito che la vostra chiacchiera è orientata ad un obiettivo specifico.
Arrivo presso i Nüatar due giorni prima di un rito di passaggio all’età adulta. È questa una tradizione comune a molti gruppi tribali, ma con alcune varianti interessanti. Come prima cosa, è un processo volontario. Sebbene esista l’età minima di dieci anni per potersi sottoporre al rito, non c’è nessun vincolo formale che obblighi i fanciulli a diventare adulti. Se la madre o il padre sono disposti a sobbarcarsi il lavoro extra necessario per mantenere un figlio o una figlia che non fa i turni di caccia, di costruzione di canoe, di raccolta di funghi edibili, erbe fibrose e frutti, se insomma la famiglia piccola (per distinguerla dalla famiglia grande, che è la tribù intera) può e vuole mantenere il figlio in stato fanciullesco, ne ha facoltà. In teoria non ci sono limiti: ci possono essere fanciulli cinquantenni, o anche più vecchi. Al momento della morte dei genitori, tutti i figli ancora fanciulli vengono ereditati dai parenti più prossimi o, se nessuno li vuole e può mantenere, dal capotribù. Se la famiglia è d’accordo nel mantenerli fanciulli, resteranno fanciulli. Se la famiglia, originale o adottiva, volesse invece sottoporre un fanciullo al rito di passaggio non c’è molto che questi possa fare: il rito avverrà. Va detto che sono casi i rari di fanciulli biologicamente maturi ma tenuti sotto l’egida della famiglia. Pare che però, con l’aumentare del benessere complessivo della tribù – hanno sconfitto dieci anni fa l’ultima tribù rivale e sono ormai i padroni incontrastati di un’area molto vasta – i casi stiano aumentando.
Come dicevo, incontro la tribù due giorni prima di un rituale di passaggio. A sottoporsi sono due fanciulli, un maschio (Cru) e una femmina (Pal). Da una settimana dormono in una capanna speciale, che li tiene isolati dal resto della popolazione, e soprattutto dai loro genitori, con cui non devono assolutamente venire in contatto. Mi viene spiegato che per questi dieci giorni, come fase preparativa, devono riuscire a mangiare con regolarità e tenere puliti se stessi e la capanna. Una settimana fa sono stati consegnati loro dei semi e della carne cruda, ingredienti da cui in teoria potranno trarre cibo a sufficienza per il loro sostentamento. In pratica, arrivati a due giorni dalla scadenza, hanno finito quasi tutto. Cru mi racconta, piuttosto nervoso, che la sua compagna non è stata molto parsimoniosa nelle dosi, ma lei aggiunge stizzita che se lui è tanto bravo avrebbe dovuto pensarci. Ora stanno razionando, e sono visibilmente sofferenti. Mi chiedono anche di trafugare qualcosa per loro, per farli mangiare, ma volendomi ingraziare i Nüatar preferisco astenermi. La sera mangio fegato di scimmia arrosto, considerato una prelibatezza. Incrocio lo sguardo di Pal, nella capanna, che sembra piuttosto afflitta.
Quando arriva il giorno del rituale, la capanna viene ispezionata e trovata sporca e in disordine, ma pare che il fatto non sia così grave da meritare nulla più di un rimbrotto. Pal trova il tempo di lanciare un commento acido verso Cru, che pare fosse incaricato di rimuovere la pila di gusci dall’angolo e gettarla nella foresta, e che se ne è scordato. I fanciulli vengono poi portati al centro del villaggio, dove un nutrito gruppo di adulti li attende con fare sardonico. L’inizio del rituale è annunciato suonando il corpo gonfiato di una rana rosa, che sgonfiandosi emette un acuto feeeeeeeeee. Tutti si zittiscono ed in silenzio formano una fila. I due fanciulli, uno dopo l’altro, percorrono la fila, e ricevono da ciascun adulto una richiesta. Alcuni chiedono di procurar loro delle spine da cerbottana, alcuni vogliono un aiuto a mondare i semi, alcuni chiedono che gli si rassetti casa, alcuni vogliono dei monili. I compiti sono tanti, ed è impossibile svolgerli tutti in un solo giorno. Men che meno, è impossibile ricordarseli tutti. I fanciulli, di richiesta in richiesta, ripetono mentalmente quanto sentito, ma è un’impresa disperata. Appena finito il giro – c’erano una quarantina di adulti presenti – scappano ad eseguire le prime commissioni. Gli adulti rimasti, intanto, li guardano divertiti.
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