Questo posto mantiene la tradizione della questua dei morti. Per dodici giorni all’anno, durante la stagione fredda, i giovani uomini e le giovani donne del paese si recano in speciali luoghi di ritrovo, persi nel profondo dei boschi che circondano l’abitato, e si preparano ad impersonare i morti. Indossano costumi tramandati di anno in anno, fatti di materiali poveri che vengono costantemente riparati e cambiati. Hanno la faccia dipinta e sporca, sono scarmigliati e hanno rami nei capelli. Per tutti i dodici giorni della questua non si lavano e dormono all’addiaccio, le loro figure rese sempre più grottesche e ferali.
Ogni gruppo di morti elegge un suo re o una sua regina, che vengono portati su una lettiga, in spalla dagli altri morti, fin sotto la casa che devono visitare. Ho assistito alla questua, che è selvaggia: i morti urlano, gridano e strepitano, mentre gli abitanti della casa prescelta si barricano dentro, in preda a sincero terrore. I morti allora si aggirano famelici, razziano tutto quello che trovano di commestibile, e corrono attorno alla casa prescelta, pur senza provare ad entrare. Ad un segnale convenuto il re dei morti inizia a chiamare a gran voce gli abitanti della casa, mescolando improperi e richieste gentili, minacciando violenze efferate sulla prole della casa e promettendo grandi ricchezze le sue richieste saranno soddisfatte. Se gli abitanti della casa decidono di restare barricati la furia dei morti sale, qualcuno inizia a scagliare pietre contro la facciata dell’edificio, ogni suppellettile lasciato incustodito viene rovesciato e fracassato, se c’è un orto viene saccheggiato e distrutto, se c’è una stalla gli animali vengono messi in fuga o, a volte, sgozzati. Dipende dal re: il suo compito è incitare i morti alla violenza, a tirare fuori il peggio da se stessi e riversarlo su chi si oppone. Se gli abitanti della casa bersagliata accettano di parlamentare, il re dei morti farà delle richieste, a volte ragionevoli, a volte esorbitanti. Può chiedere cibo per la sua masnada, o che vengano regalate loro tutte le riserve di vino, o che le donne della casa mostrino le loro nudità. C’è un minimo spazio di trattativa, ma gli abitanti sanno che sono i morti ad avere il controllo della situazione: è un gruppo numeroso, e ogni reato commesso durante la questua è condonato. Non sono più abitanti di quegli stessi villaggi, parenti e amici di quelle stesse vittime che vengono minacciate: sono i morti, e i morti sono impuniti.
Il ruolo del re dei morti è tanto critico quanto terribile. Il dodicesimo giorno i morti si preparano a chiudere la questua dopo aver bevuto, mangiato e gozzovigliato a spese del villaggio. Si raccolgono nella piazza della città, i morti al centro, e il re al centro dei morti. Gli altri abitanti, gli adulti e i bambini, fino a quel momento vittime, a questo punto prendono coraggio e si raccolgono a loro volta. I due gruppi si affrontano in silenzio, poi qualcuno dei vivi inizia a cantare e a battere su un tamburo. I morti, scacciati, iniziano ad andarsene, alla spicciolata. Il gruppo diventa sempre meno numeroso, fino a quando non il re dei morti non si ritrova solo, circondato dagli abitanti del villaggio, e da carnefice si trasforma in vittima: vengono distribuite delle frasche di rami verdi – ne hanno date anche a me – e il re dei morti viene inseguito e frustato a sangue per le vie del paese. Se cade la folla si accanisce, ma gli lascia sempre spazio per rialzarsi: nessuno lo tocca mai direttamente. Ormai ridotto ad una figura semiumana, sporco e sanguinante, gli viene alla fine permesso di allontanarsi e sparire nel bosco. Iniziano allora i festeggiamenti per la vittoria riportata, anche quest’anno, contro le schiere dell’aldilà.
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