Questo romanzo arriva con un avviso: “non è il seguito di Q”. Detto e ridetto, nelle interviste, nelle presentazioni, dappertutto. “Non è Q parte 2”. Ok, ok. Però: a) gli autori sono gli stessi (cioè, 4 su 5 son gli stessi, e l’uscita del quinto è proprio uno dei motori che ha spinto il gruppo a scrivere Altai) e b) è ambientato nello stesso continuum di Q, alcuni personaggi presenti in Altai lo erano anche in Q, e l’atmosfera è proprio quella di Q. Però non è Q2, ok?
No, non è Q2. Davvero. Q è un gran romanzo, ha un’apertura assassina, ti tiene inchiodato per quattrocento e rotte pagine e mantiene un’ambientazione storica interessantissima, una roba che ti vien da dire: ah, cazzo, vorrei esserci stato io, a Munster, a Venezia, a Frankenhausen. Q è un gran romanzo. Altai è un buon romanzo. Patisce un po’ il paragone, tutto qui.
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Siamo nella seconda metà del cinquecento, a cavallo tra Venezia, Costantinopoli e Cipro. C’è una storia di spie e controspie, il cristianesimo e l’islam, e poi fughe, battaglie, battaglie navali, innamoramenti. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per un grande romanzo d’avventura. Che è quello che viene fuori: una bella avventura, che intrattiene e anche incuriosisce. Ma poi basta così. Non sono riuscito a empatizzare con i personaggi. A ben guardare, alla fine non mi interessava sapere che fine avrebbero fatto. Un pochetto mi ha smosso la storia d’amore, perché sono un eterno romantico. Starò invecchiando, non so che dire.
E dire che ci sono un sacco di frasette citabili. Ad esempio:
Mi osservai nel vetro di una caraffa: la barba più lunga e ispida, il volto pallido, lo sguardo incerto. Un uomo diverso. La fuga era una crisalide, ma il bruco non diveniva farfalla: soltanto un altro bruco.
Poi dice che non ti piace viaggiare
E anche:
– Macchiavelli ha scritto che il fine giustifica i mezzi
– Sì, anche Yossef me lo ha ripetuto spesso ‒. Chiuse gli occhi e si sistemò sul fianco. ‒ Con gli anni, ho invece imparato che i mezzi cambiano il fine.
La strada per l’inferno è lastricata di citazioni di Macchiavelli
E quindi la sintesi è questa: è un romanzo scritto bene, di testa, che funziona, pur senza prendere alla pancia. Epperò come scrivevo in apertura Altai è stato scritto anche di reazione: uno dei cinque del gruppo Wu Ming ha abbandonato, gli altri quattro scrivono anche per esorcizzare, anche come terapia di gruppo. Mi immaginavo una storia traboccante di emozioni, mi ritrovo con un bell’affresco storico. Che il fuoriuscito fosse il responsabile della suspance?
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